Liquidare con insulti e monetine 18 anni di storia e dare perciò dell’imbecille alle decine di milioni di italiani che l’hanno costruita con il voto è sciocco prima che ingiusto. Senza Mani pulite Silvio Berlusconi non sarebbe nato, ma senza Berlusconi Mani pulite avrebbe consegnato nel 1994 l’Italia a una sinistra ancora idealmente legata al Pci, minoritaria nel Paese e salvata per ragioni tuttora non chiare dal ciclone giudiziario. Senza Berlusconi, la destra di Gianfranco Fini avrebbe dovuto aspettare prima di «costituzionalizzarsi» e la Lega di Umberto Bossi sarebbe rimasta più a lungo secessionista. Senza Berlusconi non avremmo avuto il bipolarismo tipico di tutti i paesi occidentali, perché la nuova legge elettorale del 1994 (il Mattarellum) era nata per garantire, con la quota proporzionale, una rendita di posizione soprattutto alla sinistra democristiana, non ancora pronta alla sfida diretta nei collegi. Ancora: i democristiani moderati superstiti da Mani pulite (Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella, innanzitutto) senza il rifugio nella nascente Forza Italia avrebbero dovuto sospendere almeno per un po’ la loro attività politica.
Nei pochi mesi del suo primo governo, Berlusconi provò a fare con Lamberto Dini una rigorosa riforma delle pensioni, che fu bloccata da una rivolta molto estesa (lo stesso Dini ne fece una più morbida da presidente del Consiglio). Nel secondo mandato mancò la riduzione delle tasse per la crisi successiva alla tragedia dell’11 settembre 2001. Fece una timida riforma della giustizia in larga parte azzerata dal successivo governo Prodi e sbloccò opere pubbliche importanti, fino ad allora paralizzate dai veti ambientalisti.
Ma nemmeno nel terzo mandato è riuscito a completare il programma delle grandi infrastrutture annunciato a Porta a porta nella campagna del 2001. Negli ultimi tre anni, come ricordò un anno fa un commentatore certo non berlusconiano come Luca Ricolfi sulla Stampa, il governo ha fatto riforme importanti su federalismo fiscale (in vigore auspicabilmente dal 2013), pubblica amministrazione, scuola, università, pensioni (parziale), servizi pubblici locali (parziale). Con l’aggravarsi della crisi, ha moltiplicato la cassa integrazione e soprattutto ha tenuto in ordine i conti dello Stato, limitando l’incremento del deficit alla metà degli altri grandi paesi.
Berlusconi è invece fallito sulla crescita, che nell’ultimo decennio è stata del 3 per cento contro il 12 della Francia. E ha sbagliato negli ultimi mesi a sottovalutare i tempi, le esigenze e le insidie (anche poco trasparenti) determinate dalla crisi finanziaria internazionale. La caduta del governo non gli ha consentito di portare avanti la mobilità del pubblico impiego e la revisione dei rapporti di lavoro che auspicabilmente dovrebbero avere un posto primario nell’agenda di Mario Monti, anche per una tutela dei precari, le principali vittime della crisi insieme ai liberi professionisti.
Pur nel fallimento della riforma della giustizia, il nuovo processo civile (mezzo milione di cause in meno nel 2011) e la mediazione giudiziaria sono punti di merito indiscusso. Berlusconi ha fatto approvare alcune leggi ad personam. Ma ogni cittadino in buona fede deve riconoscere che molti dei processi contro di lui sono altrettanto ad personam. Se la Corte costituzionale non avesse bocciato prima il lodo Schifani e poi il lodo Alfano per rinviare a fine mandato i suoi processi, la storia di questi anni sarebbe stata diversa.
Sugli altari nella primavera del 2009, Berlusconi è finito nella polvere grazie ai casi Noemi, D’Addario e Ruby. La caduta della sua credibilità internazionale è dovuta in larghissima parte a questo. Ma se in Italia i moderati hanno potuto rialzare la testa il merito è suo. E non è un merito da poco.
Bruno Vespa
Venerdì 25 Novembre 2011